Caro Renzo, più che fare scuole serve fare scuola.
Renzo Piano riporta infaticabilmente sulle prime pagine dei quotidiani parole ordinarie come scuola, periferia, esperienza urbana. Lo fa con generosità, anche a costo di sembrare ripetere sempre le stesse cose. Sa che non sono necessariamente le cose che dice a interessare il pubblico, ma il fatto che le dica proprio lui. E questo è un bene. Ma la sua prosa – ti racconto il mondo che vorrei – è quanto di più distante possibile dal mondo reale. Lo è quando invoca astrattamente il rammendo delle periferie, lo è quando propone un?idea di scuola al futuro.
La scuola perfetta ha un piano terra aperto alle esperienze più varie, un piano di scuola vera e propria ispirato però a criteri di sostenibilità e compatibilità con ambiente e natura, un tetto abitabile, luogo di libertà e fuga dalle regole e dagli orari (#la scuolachefarei @24DOMENICA). La proposta appare tanto sensata, tanto condivisibile, tanto già sperimentata dai nostri cugini nordici o latino americani, tanto razionale e saggia? da crearci un certo disagio. Disagio che nasce dall?astrazione di un modello che non si sporca le mani con la vita reale, con gli esperimenti fatti e in corso, con le periferie in carne e ossa, quelle che non sempre sono il ?deserto affettivo? che Piano racconta. Disagio per l?illuminismo di un progetto ancora tutto novecentesco che affida interamente alla forma, alle scelte architettoniche la soluzione dei problemi delle comunità. Come fatica il progetto di arc...
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