Storie interrotte: viaggio alla ricerca dei distretti produttivi scomparsi
Non l?abbiamo raccontata abbastanza quella metamorfosi minuta che ha investito il nostro Paese. L?abbiamo vista ma siamo stati distratti. Presi da quella cultura del nuovismo e del fatalismo che ci ha sempre sedotti. Ci siamo liberati in fretta della nostra agricoltura, certo povera e di sussistenza, nel grande passaggio d?epoca degli anni Cinquanta. Ci siamo dimenticati ancora più in fretta della nostra piccola e media impresa al passaggio del nuovo millennio. Ammaliati dall?avvento del terziario avanzato, dalla civiltà delle reti e dell?immateriale, non abbiamo capito che perdere quel sistema capillare di ?casa e impresa? che ha sostenuto a lungo il nostro sistema economico, significava perdere molto di noi. Ci siamo tornati in questi mesi a visitare alcuni distretti industriali, del tessile e delle pelli, delle scarpe e delle cucine. Quel mondo che fabbricava ?cose di qualità ? e sapeva integrare famiglia, lavoro, territorio, in gran parte è ormai scomparso. Da qualche anno i grandi marchi hanno portato fuori Italia il grosso della produzione, lasciando sul territorio solo le funzioni dirigenziali e qualche fondazione benefica, e così, con effetto domino, è morto quel sistema di piccoli terzisti che vi lavorava intorno. Una sequenza di capannoni piccoli e grandi giacciono ormai deserti e abbandonati, nella Biella piemontese dei filati così come nella Santa Croce toscana delle pelli; entro un sistema di monocultura chi ha perso il lavoro fatica a trovarne un altro....
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