Vivere e sopravvivere in città. Ai tempi della pace e ai tempi del conflitto
Bogotá, febbraio 2008. Bus pieno, anzi strapieno. Zainetto come sempre in mano con il notebook dove si conservano -in epoche ancora lontane da dischi esterni e dai cloud-, quasi tutto: le password, le immagini della vita, le produzioni. Esco dal bus, lo zaino è sorprendentemente leggero: hanno sfilato dallo zainetto non si sa come, la mia estensione tecnologica. E m?è pure andata bene. Quanti amici aggrediti con pugnali, coltelli e quant?altro si può immaginare. E pure a loro tutto sommato è ancora andata bene: ieri per un cellulare, un gruppetto di ragazzini ha ucciso un quindicenne, sull?autobus. Semplicemente premendo un grilletto; cosi, sulla tempia.
Della Bogotá tanto amata ho imparato come attraversarla, come viverla, come difendermi. Ho sviluppato la percezione del pericolo, osservando luoghi e volti. Eppure, l?ho vissuta fino in fondo Bogotá. Son andato in mezzo ai poveri, tra i quartieri ricchi. E mi sono assuefatto ai controlli delle guardie giurate all?auto per entrare in un qualsiasi parcheggio; all?odioso palpeggiamento sul corpo di mani delle forze pubbliche per verificare la presenza di chissà quali ordigni, o più semplicemente lame o pistole (!). Ho tremato insieme ai vetri della mia casa, allo scoppio di qualche ?bombetta? nelle sere bogotane, rincuorato da amici che mi sottolineavano quanto fosse inopportuno stare troppo vicino ai vetri. Ho respirato quando sulle strade del Paese, l?ennesimo posto di blocco in mezzo alla strada scorto all?orizz...
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